NEGLI STATI UNITI, DOPO 50 ANNI, IL GRANDE SOGNO DI M.L. KING NON SI E’ ANCORA AVVERATO ED IN POLITICA ESTERA, ANCORA ADESSO, GLI U.S.A. PENSANO DI RISOLVERE TUTTO CON I CONFLITTI ARMATI
Oltre Oceano la giustizia non è ancora uguale per tutti e gli Stati Uniti non hanno ancora capito che la “democrazia” la possono esportare all’esterno con l’esempio e non con le armi

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Di Salvatore Randazzo

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In questi giorni gli Stati Uniti si confrontano con la loro storia, con il loro passato e con il loro presente, con il loro non superato razzismo e con il loro imperialismo sempre più perdente ad ogni costo, con le loro bolle finanziarie e con il dollaro che è sempre più di carta. La più grande potenza del mondo accusa interamente, in più settori strategici, la sua più globale fragilità. Recentemente il Presidente Barack Obama, in occasione della commemorazione per l’anniversario della marcia per il Lavoro e la Libertà del 28 agosto del 1963, a proposito di quel sogno di Martin Luther King di uguaglianza raziale, ha con orgoglio parlato dei risultati raggiunti in mezzo secolo, precisando però che “c’è ancora tanta strada da fare”. Infatti, quel sogno è molto rimasto “sogno”: “la povertà dei giovani, l’assistenza sanitaria inidonea, ed il divario economico che permane tra bianchi e neri sono problemi che tradiscono le speranze di chi allora lottò”. Ha ammesso il Presidente che “la stragrande maggioranza delle famiglie di colore non arriva alla fine del mese”. Ancora nel 2013 i poveri di colore sono il 25%. Si laureano il 21% degli afroamericani a fronte del 35% dei bianchi. Esiste negli U.S.A., in modo grave, un razzismo discriminato sulla razza e purtroppo la legge e, in particolar modo, la cultura lo hanno permesso nell’impunità. Gli Stati Uniti non saranno mai grandi, e questo dovrebbero capirlo, per il fatto che disporranno del migliore potenziale atomico o dei più facoltosi “paperoni” del pianeta, se non saranno capaci di assicurare anche una “giustizia uguale per tutti”. Ma al problema del razzismo non superato si aggiunge adesso per gli U.S.A. la preoccupante questione “siriana”. Obama conosce il costo e gli effetti degli ultimi tredici anni d’interventi (Afghanistan, Iraq, Libia che sono state tre guerre non vinte per non dire perse). Sa che i danni provocati dalle armi chimiche sono molto gravi ma sa che sono ancora più gravi quelli provocati dalle guerre vere e proprie ed è per tali ragioni che il Presidente americano riconsegna al Congresso il più importante dei poteri, quello di decidere sulla pace e sulla guerra. Se tale Ente boccerà (questo giornale va in stampa prima della data in cui il Congresso deciderà) la richiesta di Obama, per gli “esperti” della Casa Bianca, non sarà solo fatto a pezzi l’attuale Presidente ma anche quelli futuri, secondo tali guru verrebbe a cadere la credibilità dell’America. L’Attuale presa di posizione di Barach evidenzia comunque inevitabilmente l’indebolimento del potere esecutivo U.S.A. e mette in chiara mostra la sua continua indecisione in quanto sottopone gli impegni internazionali del suo governo ai giochi della politica interna americana. Si capisce che Obama si sia trovato di fronte ad una grandissima difficoltà: lanciare un attacco per punire chi usa ingiustificatamente armi chimiche senza la dovuta copertura internazionale. Nello scacchiere mondiale si nota invece una convergenza mai cercata prima ed oggi voluta tra Cina e Russia sulla salvaguardia del potere del dittatore siriano. L’Europa frena l’orientamento del presidente americano (intervento bellico rapido) ad attaccare il regime siriano in attesa dei risultati dell’ispezione ONU.

centro abitato siriano distrutto

Negli Stati Uniti lo stesso Pentagono non condivide questo tipo di guerra. Risulta inoltre che l’opinione pubblica interna americana è stanca del concetto di essere “nazione indispensabile” e dell’impegno militare e quello economico che tutto ciò comporta. Quello che gli Stati Uniti propongono, come sopra evidenziato, è un attacco limitato per intensità e durata, inteso a segnalare che l’uso delle armi chimiche è inaccettabile. Ma tale intervento se dovesse avvenire non cambierà purtroppo nulla. Assad sa, infatti, che se perde sarà la fine degli alauiti ed i sunniti sanno che il regime vuole distruggerli, dunque i due e/o tre giorni di attacchi aerei non cambieranno tali diverse posizioni irragionevolmente contrastanti. Per l’Occidente invece è il momento di fermarsi, riflettere e ricominciare a ragionare. La democrazia non si costruisce con le armi. E’ il non voler capire questo nuovo modo di fare geopolitica che lacera, rende fragile ed indebolisce la posizione di prima potenza rappresentata nel mondo dagli Stati Uniti.  Il più grande errore di Obama, che con il suo interventismo dimostra di non aver meritato il premio di pacifista, è non solo rappresentato dal non aver deciso con la necessaria immediatezza, ma dal non aver subito capito che in situazioni simili l’unica azione umanamente e concretamente possibile non è la guerra, breve o lunga che sia, ma quella di non aver avviato un negoziato allargato alla partecipazione della stragrande maggioranza delle nazioni del Pianeta per porre pace nella Siria insanguinata, risolvendo politicamente l’intrigata questione. Nessuno al mondo ha diritto di creare stragi d’innoccenti, nessuno ha il diritto di fare guerre per di più in casa d’altri,  per  poi fare, in principal modo, un grosso piacere ai costruttori di armi, tanto meno il signor Obama. Piace riportare qui di seguito al riguardo le parole di Papa Francesco: “C’ è un giudizio di Dio ed anche un giudizio della storia a cui non si può sfuggire”. I grandi della Terra dovrebbero tenerne conto.

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