di Salvatore Randazzo

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Come Paese dobbiamo riacquistare il nostro patrimonio storico ed ideale che purtroppo abbiamo lasciato deperire

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Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, celebrando in data 17 marzo 2011, il Giubileo per i 150 anni della nostra Nazione, ha lanciato davanti alle Camere unite, un grandissimo messaggio, imperniato sul patriottismo. Ha messo in grande luce “l’orgoglio” dell’unità conquistata dal Risorgimento perché, secondo il pensiero di Mazzini, era evidente che una Italia esistesse e che ve ne fosse solo UNA. Ha poi rimarcato come «rispettando la storia sia l’unico modo per rispettare noi stessi, tenendoci lontani dal mondo della retorica», precisando inoltre come «una evoluzione in senso federalistico, ben condotta, possa rafforzare le basi del nostro stare insieme». Ha però sottolineato come il «senso unitario non debba essere eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità», cui purtroppo da molto tempo la classe politica ci abitua ad assistere. Napolitano ha ricordato come i nostri nonni volessero realizzare un Paese migliore e forse avrebbero potuto fare anche di più, ma già quello che son riusciti a conquistare, e cioè l’Unità del nostro Paese, non può comunque che definirsi una opera ciclopica.

 

E’ proprio quello straordinario successo che deve spingerci ad essere orgogliosi di noi stessi e comportarci di conseguenza. Napolitano ha più volte ribadito che l’Italia è Una, ma ha anche precisato che dovrà rispettare le diverse tradizioni culturali, che dovrà dare spazio alle autonomie, perché «nella nostra storia la parola unità si è sempre sposata con altre: pluralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà». Ed è spiaciuto che ad ascoltare tale importante e significativo discorso, la Lega abbia perso una significativa occasione essendo praticamente assente in aula, ad esclusione di Bossi e qualche altro parlamentare, presenti più per educazione che per altro.

Una costatazione ci pare giusto farla. Il 17 marzo abbiamo celebrato la nascita della cittadinanza italiana. Ci rendiamo conto della grande differenza tra quello che siamo e ciò che saremmo stati se, andando per il mondo, ci fossimo presentati con passaporti lombardi, toscani, romani e/o siciliani. Se fossimo rimasti divisi, come ben ha ricordato Napolitano, saremmo stati spazzati via dalla storia. Cerchiamo dunque di cogliere, con comportamenti coerenti, questo nostro grande valore.

L’evento anche se in parte avversato meteorologicamente è stato lo stesso entusiasmante. In tutte le  nostre città, grandi o piccole, gli Italiani hanno deciso di celebrare la ricorrenza scendendo per le strade per festeggiare i nostri 150 anni, con gioia, passione, commozione. Coccarde e tricolori erano disseminati nelle stazioni, nelle strade, nei giardini pubblici, sui balconi e qualche presa di distanza è risultata di nessun peso specifico, con tutto rispetto: fuori luogo.

Oltre che a Roma il nostro Presidente Napolitano è stato grande, nel celebrare i nostri 150 anni, sia a Torino che a Milano ed in particolare, nella capitale piemontese, si è emozionato – e si sono emozionati applaudendolo tutti quelli che lo hanno ascoltato – quando, con l’onestà intellettuale che lo caratterizza, tra le tante cose di valore che ha pronunciato, ha evocato che: «il dovere dell’umiltà è importante per chiunque ricopra ruoli pubblici, per chiunque abbia doveri istituzionali». Non possiamo non essere d’accordo con il Presidente se pensiamo come tale suo principio fortemente strida con un certo modo di fare politica oggi.

 

Ci pare che il 150° compleanno della Nazione sia stato un successo di Napolitano in particolare e del Popolo Italiano in generale e ci sentiamo di suggerire che tale ricorrenza non dovrebbe essere messa in archivio per rispolverarla fra 50 anni e ciò per l’alto significato che riveste, per l’emozioni sane che sa generare, per la crescita del denso di appartenenza di tutti noi verso il nostro Paese. Il 17 marzo penso che tutti noi abbiamo piacevolmente constatato uno slancio di sentimento nazionale, che poi era quello che volevamo suscitare, che volevamo fortemente sentire. Come ben diceva Napolitano «dobbiamo riacquistare un patrimonio storico ed ideale che abbiamo lasciato deperire, che abbiamo rimosso, poco studiato, poco sentito» e di cui oggi abbiamo la certezza che comunque è ancora parte importante di noi.

 

 

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