PD: Veltroni lascia, Franceschini nuovo segretario

Dario Franceschini è il nuovo leader del Partito Democratico. Manterrà tale carica fino al congresso di ottobre. Ha cinquanta anni. E’ in politica dal 74, deputato dal 2001. Proviene dal PPI e dopo dalla Margherita. E’ stato vice segretario nazionale del PD. Il giorno della elezione Franceschini ha dichiarato: «Non ho fatto patti, non avrò padroni e protettori, non sono qui per preparare il mio futuro personale. Adesso è la stagione dell’unità, possiamo guardare il futuro». Dopo l’esito del voto Veltroni ha affermato: «Dario è un uomo politico leale, forte e che crede in quel progetto del Partito Democratico come un soggetto nuovo che sia perno del riformismo italiano». In questi mesi il PD si è impegnato sulla semplificazione della vita politica e sociale del Paese, cercando di far capire al proprio interno che è l’idea della democrazia che deve decidere. Ha poi tentato di svolgere una politica tendente al superamento dei vecchi sistemi della sinistra per affrontare le nuove sfide della società. Ha tentato di innovare il partito con una partecipazione dal basso. Veltroni non ci è riuscito a realizzare quell’interessante progetto, non è riuscito a rendere efficace ed efficiente il Partito democratico e con grande senso di onestà intellettuale e di responsabilità, nel presentare le sue dimissioni ha detto: «Non ce l’ho fatta a fare il partito che sognavo e che sognavano i tre milioni e mezzo di cittadini che hanno vinto alle Primarie. Sento di non aver corrisposto alla spinta di innovazione che c’era e di non averlo fatto forse per un riflesso interiore che mi ha portato al tentativo costante di tenerci uniti». E’ questa la verità. Nel PD c’era chi giocava quotidianamente contro l’unità e non essendo un partito unito non poteva unire il Paese. Ma chi, da sempre, ha giocato contro l’unità nel PD? Parisi, ma principalmente ed in modo proprio da far male: i dalemiani ed i bersaniani. Proprio Besani, non si sa sulla base di quali diritti, pretendeva che Veltroni recepisse «le istanze che io rappresento», insomma voleva essere un partito nel partito e D’Alema, che dal primo momento della nascita del PD ha, in modo felpato e non, remato contro, contrastando l’azione innovatrice di Veltroni. Ultimamente ha candidamente dichiarato che nessuno ha mai complottato contro il segretario e che l’errore di quest’ultimo è stato: «avere imboccato una scorciatoia incentrando tutto sul rapporto tra il leader e le masse». Dunque gli sterili ed inutili personalismi, le “voglie” di persone che non hanno capito di doversi mettere da parte, hanno messo in crisi il PD, le sue aspirazioni, il consenso di tanti cittadini che nel nuovo PD veltroniano s’identificavano e vedevano realizzato il loro futuro. I dalemiani erano già pronti per chiedere le dimissioni del segretario e la scelta di Veltroni di dimettersi li ha smascherati, li ha spiazzati, li ha anticipati.

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